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martedì 19 marzo 2024

PAROLE IN VIAGGIO — il Blog di Tito Barbini

Tito Barbini

In primo piano per decenni, nella politica italiana, all’improvviso non ne senti parlare più. Chiedi e nessuno sa darti notizie. Poi scopri che ha fatto una cosa che molti vorrebbero fare, ma sognano soltanto: dare lo stop alla vita di sempre e partire. Tito Barbini, classe 1945, sindaco di Cortona a 24 anni, poi presidente della Provincia di Arezzo, infine per 15 anni assessore regionale prima all’Urbanistica e poi all’Agricoltura, amico personale di Francois Mitterand. Si mette dietro le spalle tutto questo e intraprende un viaggio lungo cento giorni, che lo porta dalla Patagonia all’Alaska. Cento giorni a piedi e in corriera, per bagaglio uno zaino. Da allora attraversa confini remoti e racconta i suoi viaggi e i suoi incontri nei libri. E’ ormai, a tempo pieno, scrittore di viaggi. Più di dieci libri, non solo geografia fisica, paesaggi e luoghi, ma geografia della mente. In Patagonia o nel Tibet, un mondo altro, fatto di dolori, speranze, delusioni. Nel 2016 è uscito il libro "Quell’idea che ci era sembrata così bella - Da Berlinguer a Renzi, il lungo viaggio"

Welcome to America

di Tito Barbini - giovedì 27 giugno 2019 ore 13:46

Foto di: Vatican News

Al confine tra il Texas e il Messico, lungo una recinzione fortificata e guardata a vista da centinaia di uomini armati, corre anche il Rio Grande. Qui si è consumata la tragedia della bambina e del suo papà annegati nel tentativo di attraversarlo. 

Trump e Salvini cosi lontani e cosi vicini, disumani, arroganti, intolleranti e suscitatori di un'ondata senza precedenti di xenofobia e razzismo. Un giorno, forse, saranno chiamati a risponderne. Ecco la mia testimonianza su quella frontiera. Questa è l’esperienza che un giorno ho voluto fare: attraversare a piedi il confine tra Messico e Stati Uniti. A Tijuana la spiaggia è sporca, piena di cartoni e teli di plastica. Brulica di gabbiani affamati e tristi. Sono tanti, ma non così tanti come lo sono le persone: le più povere del continente povero, avvolte in cenci, abbandonate a sé stesse. In gran parte discendono dagli antichi popoli delle Americhe meridionali, senza più la fierezza e la nobiltà dei loro antenati. È un posto orribile, questo. Sulla larga distesa di sabbia che incontra il Pacifico si alza un enorme tramezzo di acciaio arrugginito. Cade a pezzi, è ormai corroso dalla ruggine e dalla salsedine di un mare che pacifico non lo è mai stato. Ma è sempre un muro. Di più: è uno dei muri più vergognosi del mondo. Oltre che dei più sottovalutati. 

Pensare che questa potrebbe essere una grande spiaggia per ore spensierate, con i bambini che costruiscono castelli di sabbia. Invece è un inferno.Tijuana, ultimo avamposto dell’America Latina, prima della frontiera con gli Stati Uniti. Di fronte alla città di San Diego, USA, un altro pianeta.È qui che finisce il muro che taglia via per intero il Texas. Si getta in acqua nel bagnasciuga e affonda come una nave. Simbolicamente con sé porta a fondo un carico di bare che sfugge a ogni statistica. I morti nel deserto dei cactus e dei serpenti nessuno li ha mai contati. 

Una statistica invece abbiamo per il mare nostro e, forse, i nostri benpensanti che "comprendono" e ammirano Salvini avranno un sussulto nella loro coscienza pensando ai 35000 morti, uomini, donne e bambini affogati nel mediterraneo. Ma torniamo in Messico. Come molte altre frontiere anche questa alimenta paura o speranza, inquietudine o stupore. Può essere prigione oppure libertà. Dipende da chi intende passarla. Sant’Isidro, il valico di frontiera, ultimo lembo di Messico. Alle spalle si distende la baraccopoli di Tijuana, davanti cerchi di goderti lo skyline avveniristico di San Diego.

Appena sceso dalla corriera mi sono trovato di fronte una fila interminabile di uomini e donne che avevano trascorso la notte all’addiaccio, masticando un’arancia o animandosi con un sorso di tequila. Qui le temperature precipitano si erano coperti di cartoni, più tardi bruciati per ordine della polizia, vai a sapere perché. Bambini senza sorriso che mi fissavano, ponendomi domande a cui non sapevo dare risposte.Eccolo, il popolo dei migranti. Uguale in tutto il mondo. Gente partita dal Salvador o dal Nicaragua, da Panama o dal Venezuela, dal Perù o dalla Bolivia. Gente fuggita dalla fame, dalle guerre o dalle persecuzioni, che ora provava a bussare alle porte di un altro mondo.

Mi fermo qui. Alla dogana mi chiedono se ho nulla da dichiarare. Certo dichiaro la mia indignazione ma non serve a nulla e non mi resta altro che una profonda vergogna nel mostrare il Passaporto della ricca Europa e attraversare quella frontiera. 

Welcome to America.

Tito Barbini

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