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Attualità lunedì 02 febbraio 2015 ore 11:00

Legambiente, "Rischio idrogeologico, non ci siamo"

L' Albegna ha bisogno di una strategia per la riduzione del rischio, "rincorrere le emergenze non è la strada giusta", dicono dall'associazione



GROSSETO — Sulla riduzione del rischio idrogeologico in Maremma ancora non ci siamo. Con i cambiamenti climatici in corso è aumentata la frequenza e l’intensità delle piogge che stanno mettendo sempre più in difficoltà la Maremma, soprattutto Albinia e la zona sud, ma le strategie messe in campo fino ad oggi rischiano di non risolvere il problema. L’urgenza e l’importanza di dare risposte alle comunità residenti non deve diventare l’alibi per ricette sbagliate: a tal proposito l’intervento per la riduzione della pericolosità idraulica deve considerare l’intero corso del fiume e non solo l’ultimo tratto. Anche questi temi devono essere al centro del percorso dei contratti di fiume che si stanno avviando in Maremma.

Prendere come punto di riferimento lo stato del fiume del 1967 per i lavori nel tratto terminale e farlo tornare un canale in cemento – spiegano Giorgio Zampetti e Federico Gasperini, rispettivamente responsabile Scientifico nazionale e responsabile Commissione acque Legambiente Toscana –, rischia di non risolvere il problema del rischio, che merita invece studi esaustivi per dare fondamento tecnico a una conseguente e adeguata programmazione. Ad esempio la costruzione dell’argine remoto dovrebbe prevedere anche un allentamento delle difese oggi presenti (lo spaltone per capirci) e quindi la creazione di un’area di laminazione in cui il corso d’acqua può esondare. Così facendo si eviterebbe interventi più impattanti.

A richiamare l’attenzione sulla congruenza tra interventi di mitigazione del rischio e obiettivi della direttiva quadro sulle acque non sono solo gli ambientalisti. Il Piano di gestione del Distretto appennino settentrionale (coordinato dall’Autorità di bacino del fiume Arno) prevede il raggiungimento dell’obiettivo di qualità “buono” per tutto il fiume Albegna già dalla fine del 2015. Obiettivo che difficilmente si concilia con l’intervento in corso e che rischia di compromettere il raggiungimento e il mantenimento dell’obiettivo di qualità per la stazione zona Barca del Grazi (che nell’ultimo monitoraggio è risultata di qualità buona) con conseguenti sanzioni in sede europea. Inoltre il mancato rispetto degli obiettivi imposti dalle direttive europee sui fiumi comprometterebbe anche l’utilizzo dei fondi comunitari per la mitigazione del rischio.

Nel tratto più a monte il corso d’acqua mantiene ancora tutte le caratteristiche di un fiume naturale e pertanto deve essere conservato, limitando al minimo gli interventi strutturali. Il fiume che durante gli eventi di piena tende a divagare e a riprendersi i suoi spazi deve essere assecondato riducendo la pericolosità idraulica. Anche la cava dove vengono lavati gli inerti, nella zona della confluenza tra l’Elsa e l’Albegna, andrebbe delocalizzata per lasciare spazio al fiume.

“Bisogna prevedere indennizzi ai proprietari dei terreni nelle aree alluvionali – continuano Zampetti e Gasperini - mettendo così gli stessi a disposizione del fiume e riducendo il danno agricolo. Allo stesso tempo bisogna prevedere anche misure coraggiose delocalizzando le poche fattorie o case ubicate in aree di esondazione del fiume ad alta pericolosità idraulica e difficilmente difendibili. Questo vale soprattutto per il tratto a monte, dove azioni di questo tipo costerebbero molto meno rispetto agli interventi in alveo previsti dal Consorzio, che non solo non risolverebbero il problema ma rischierebbero di causare danni all’ambiente”.


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