E poi c'erano le riviste.....
di Roberto Cerri - domenica 26 ottobre 2014 ore 12:07
Tra gli strumenti utili ad orientare e formare idee, c'erano (ci sono?) le riviste.
Si occupavano di tutto: dalla critica letteraria alla politica. C'erano (ci sono) periodici leggeri e riviste pesantissime, guidate e animate da professori universitari o da giovani intellettuali, tutti protesi a farsi strada nella vita e a proporre con verve e, spesso con molta molta passione, idee e itinerari di ricerca. Idee, passioni e itinerari sostenuti da libri.
La riviste erano delle specie di cultural-forum. Ovviamente in piccolo.
Vi si partecipava in maniera un po' indiretta, attraverso la conoscenza che si aveva di questo o quell'intellettuale. La maggior parte delle riviste di “formazione” non arrivavano in edicola. Le potevi trovare (un po' come accade ancora oggi, anche se in maniera ridotta) presso qualche buona libreria (ricordo le Feltrinelli di Pisa e di Firenze, ma su Firenze c'erano perfino delle librerie specializzate nella distribuzione delle riviste: oggi non so) oppure nelle biblioteche, frequentate negli anni '80 da una élite di lettori e di studiosi.
Ovviamente ad alcune riviste ci si poteva abbonare, ma era costoso. Avere un abbonamento era impegnativo. Ma “identificativo”. Essere un lettore di “Rinascita”, della “Critica sociale”, di “Critica Marxista”, di “Quaderni Piacentini”, di “Giovane Critica” (chi si ricorda più che ci scriveva sopra perfino Giampiero Mughini?) o di “Angelus Novus” (qui comparivano i già allora per me incomprensibili articoli di Massimo Cacciari) designava uno status (mentale?). Più spesso solo una velleità o un'ambizione destinata a sfociare in nulla (ma questo è detto col senno di poi).
Alcune riviste, ed in particolare quelle politiche, venivano distribuite in maniera militante. Erano riviste militanti. Le idee o sono militanti o non sono. Era una delle baggianate in cui credevo una quarantina di anni fa.
C'erano perfino una miriade di numeri unici. Una miriade.
Credo che (ma vado solo per ricordi, anche se ammetto che non è molto serio) quella tra la metà degli anni '60 e la fine dei settanta sia stata la stagione più intensa delle “riviste” italiane. Ma aggiungo che la cultura di questo paese (quella umanistica specialmente) ha visto nelle pubblicazioni periodiche un punto di riferimento importante (dai fogli rivoluzionari del Risorgimento alla “Voce” di Papini e Prezzolini all'inizio '900, fino al “Politecnico” di Vittorini negli anni '50 e ad “Alfabeta” di Umberto Eco).
Oggi tutto questo non c'è più. Certo, esistono ancora riviste e lettori che le sfogliano. Sopravvivono alcune antiche testate (penso a “Critica Marxista” o ad “Alfabeta”), ma la loro capacità di orientamento, di far presa su vecchi e giovani intellettuali, e, in sostanza, di far “cenacolo”, “setta”, “comunità culturale”, mi pare si siano molto rattrappite.
Assistiamo perfino a coraggiosi tentativi di far risorgere gloriose pubblicazioni. Ma l'impressione è che un certo tipo di strumento culturale e di orientamento del pubblico abbia esaurito le sue potenzialità, soppiantato dalle nuove tecnologie (social forum, internet, e tutto quanto tende ad accorciare i tempi e i modi della comunicazione, della lettura, della formazione e, ahinoi, della riflessione).
Però... però in questi tempi apparentemente poco adatti alle riviste “culturali”, ne sopravvivono qui da noi, nella nostra bella toscanina, almeno un paio che vorrei ricordare e in qualche modo incoraggiare a leggere (magari abbonandosi o andandole a cercare nelle biblioteche).
Parlo del "Grandevetro" e di "Erba d'Arno". Più politica e militante la prima, squisitamente culturale e con una forte attenzione anche alla poesia la seconda.
Dietro questi periodici, ci sono due cenacoli di amici vecchi e nuovi, due gruppi di intellettuali sparsi per la regione, ma con le radici a fittone, saldamente piantate in due realtà geograficamente e culturalmente vicinissime (Fucecchio e Santa Croce sull'Arno). Terre di lavoro duro (penso alla concia, alle scarpe, ai tessuti) e di impresa. Ma anche, tenacemente, terre di cultura (di teatro, di palii, di carnevali, di musicanti, di poeti). Soprattutto terre di gente che vuol continuare a pensare con la sua testa ed esprimere le proprie passioni e le proprie idee secondo un ritmo giusto, guardandosi in faccia e dicendosi le cose sul muso. Terra di persone che vogliono continuare a coltivare campi, fabbriche e idee, con attenzione, caparbietà e dignità, magari riscoprendo il fascino della lentezza e l'importanza di una condivisione faticosa e perfino costosa.
Non so se torneremo a scoprire le virtù terapeutiche delle riviste, con la loro cultura fatta a mano, in casa, guardandosi negli occhi e dandosi, quando serve, del bischero.
Però mi piace pensare che alcune di queste pubblicazioni resistono e simili a certi nostri ulivi sfidano, come possono, le ingiurie del tempo e lo sciocchezzaio del mondo.
Roberto Cerri